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Nuovo Consumo: i legumi Perle della Tuscia

Gustosi, sani, nutrienti, e soprattutto ecosostenibili perché consumano poche risorse idriche e giovano anche ad altri tipi di coltivazioni.

Sono i legumi: lenticchie, ceci, fave, piselli, arachidi (ebbene sì, le noccioline americane sono legumi) e fagioli (questi ultimi giunti in Europa solo nel XVI secolo dal Nuovo Mondo), più i “riscoperti” legumi antichi come lupini, roveje e cicerchie, che continuano nonostante il passare dei secoli ad arricchire di colori e profumi le tavole del mondo. Sono tra i prodotti più antichi con cui l’uomo si è cimentato in cucina, tanto che sono annoverati tra le leccornie già nella Bibbia.
Nella Genesi si narra che Esaù, in lite col fratello Giacobbe per questioni d’eredità, barattò il suo diritto alla primogenitura con una minestra di lenticchie rosse.

Giudizio di valore
Nel corso dei millenni i legumi sono stati sostentamento per generazioni e generazioni.
Essiccati, non solo si mantenevano a lungo, ma diventavano farina, base per le povere ma nutrienti polente, che gli antichi romani chiamavano puls.

E non è un caso che oggi anche nella lingua inglese (che molti termini gastronomici ha mutuato dal latino) i legumi, oltre che legumes, si chiamino pulses. Appetitosi e basilari in una corretta alimentazione, il loro valore nutritivo è indiscutibile, specie se usati nelle zuppe di verdure o abbinati a pasta e riso. Sì, perché le qualità nutritive dei legumi vengono completate dai cereali e insieme regalano all’organismo una miscela proteica di altissimo valore biologico: buoni, dunque, ma anche sani tutti i tradizionali piatti come pasta e ceci, risi e bisi, zuppe di farro e fagioli in Italia, ma anche all’estero dal pane tostato e fagioli al pomodoro che accompagna l’english breakfast, ai cuscus con i ceci del nord Africa.

Ceci, piselli, fave, lenticchie e fagioli, cicerchie, lupini non sono altro che i semi commestibili di piante della famiglia delle leguminose contenuti nei baccelli. Sono i vegetali più ricchi di proteine e hanno (sia freschi che secchi) un alto contenuto di carboidrati.
Ottima fonte d’energia perché di elevato valore calorico, sono poveri di grassi (circa il 2-4 per cento) e quindi indicati nelle diete ipolipidiche. Tra i loro pregi, inoltre, l’apporto di calcio, magnesio, potassio e zinco, fosforo, ferro, vitamine del gruppo B e il contenuto in fibra alimentare.

Di fama internazionale
Se si aggiunge che costano poco, che sono facili da conservare e durano a lungo, che possono essere una buona alternativa alle carni (per produrli si consumano meno risorse naturali: 1 chilo di lenticchie richiede 50 litri d’acqua contro i 4.325 di 1 chilo di pollame), si capisce perché la Fao abbia scelto di promuoverne il consumo dichiarando il 2016 Anno Internazionale dei legumi.
Che non fanno bene solo agli uomini; sono ottimi mangimi per gli animali e rendono più fertili i terreni dove vengono coltivati, arricchendoli di azoto. Eppure, secondo i dati Fao, il loro consumo va diminuendo: nei Paesi in via di sviluppo rappresentano il 75 per cento della dieta, in quelli industrializzati solo il 25 per cento.

Il senso dell’Anno internazionale dei legumi è proprio aumentare la consapevolezza del valore di questo alimento, riscoprirne la ricchezza nutrizionale, la valenza gastronomica e la convenienza. Tanto più se si tratta di prodotti coltivati con cura vicino a noi.
Come fa la famiglia Ranieri che ha creato l’azienda Perle della Tuscia a Grotte di Castro, in provincia di Viterbo. «Qui nella Tuscia viterbese – spiega Roberta Ranieri – da sempre si sono coltivati i legumi a livello familiare. Ognuno produceva piccole quantità più che altro per uso privato, mentre tutte le terre erano occupate in monocultura dalle più famose patate della Tuscia, appunto. Ma noi abbiamo pensato alla saggezza contadina di una volta, alla pratica del sovescio (anche detta concimazione verde) che consiste nell’affiancare e/o alternare alle coltivazioni standard anche quelle di leguminose. Il terreno ne viene fertilizzato in modo naturale». Come una volta Ecco che un’idea ecologica è diventata un successo di mercato. Tra le specialità dei Ranieri spiccano le Lenticchie della Tuscia, che crescono nel territorio incontaminato intorno al lago di Bolsena; le Lenticchie di Onano, chiamate “lenticchie dei Papi” perché consumate già nel Seicento alla corte papale ed erano apprezzate da Eugenio Pacelli, futuro Pio XII; il Cecio Croccante, particolarmente consistente; il Fagiolo Tondino del Purgatorio, servito da tradizione per il pranzo del mercoledì delle Ceneri (accompagnato da riso e zuppe di pesce di lago) fin dal XVI secolo dall’Opera Pia per il Suffragio delle anime del Purgatorio; e i Ceci Neri così belli e lucenti da essere detti Perle Nere.

La qualità è garantita da un lavoro che ancora si fa come una volta: «Le nostre lenticchie, piccole e dolci, sono raccolte con le trebbie e i nostri fagioli, dalla polpa soda e la buccia tanto sottile da volere poco tempo d’ammollo, sono raccolti ancora a mano – racconta Roberta –. Non vengono usati agenti chimici per scelta di produzione, ma anche per filosofia di vita: in fondo diamo da mangiare anche ai nostri figli». Per questo se vi dovesse capitare di trovare un sassolino nella confezione, non siate arrabbiati, ma felici: è il segno che tutto arriva direttamente dal campo.

 

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